La via delle traduzioni

(15 maggio 2008)

[Con minime modifiche, la riproposta di un post del marzo 2004, a sua volta parziale rielaborazione di un messaggio di posta elettronica privato del luglio 2002. Spero in questo modo di rispondere implicitamente anche alle domande di quanti, via mail o telefono, di tanto in tanto mi chiedono qualche consiglio su come entrare o muoversi nel mondo della traduzione, ma spesso senza che io – per mancanza di tempo o di voglia, o per non ripetere cose già dette e ridette altrove – dia loro una risposta.]

Molto spesso, in passato, mi sono trovato a dare consigli sulle traduzioni: in privato, su alcune mailing list di traduttori, in post o commenti su blog vari. Domanda: perché?

In realtà io non sono – o comunque non mi reputo – un grande, affermato traduttore: non traduco saggi o romanzi a rotta di collo né ho vaste conoscenze teoriche della materia.

Ma è anche vero che non sono l’ultimo arrivato. Da sedici anni faccio traduzioni che sono state quasi tutte pubblicate. Traduco soprattutto dall’inglese, d’accordo, ma anche con francese e spagnolo non sono male, visto che mi ci fanno lavorare senza problemi. Con articoli di giornale e saggi brevi ho all’attivo una sfilza invidiabile di nomi anche illustri. Ho tradotto una decina e passa di saggi, due romanzi e vari racconti. Ho buone collaborazioni e le persone per cui lavoro sono – credo – abbastanza soddisfatte di me.

Professionalmente, insomma, non posso lamentarmi. Dunque, a patto di continuare a impegnarmi e sforzarmi di migliorare sempre di più, forse posso guardare al futuro con discreto ottimismo.

Pure, io non ho seguito studi specifici per fare il traduttore. Conosco bene l’inglese per averlo studiato a medie e superiori, con ottimi voti, poi ho continuato a coltivarlo per conto mio, ma a lingua parlata sono una mezza schiappa. Francese e spagnolo li ho imparati da autodidatta e non li parlo quasi per niente. Anche le mie letture non sono vastissime, sono venute piuttosto tardi, sono frammentarie, non ho un genere e una letteratura preferiti, sono quasi più innamorato di riviste e giornali che di libri.

Allora qual è il mio segreto, se tanti con le carte molto più in regola di me stentano a trovare la via delle traduzioni editorial-letterarie? Non lo so, né so se davvero ce ne sia uno. Più verosimilmente, dietro c’è una combinazione di tanti fattori: passione, impegno, pazienza, incoscienza, masochismo, tenacia, desiderio di riscatto, gusto per la solitudine, voglia di rischiare, intuito, antenne dritte, pubbliche relazioni, disponibilità, capacità di farsi trovare al posto giusto nel momento giusto… magari anche un pizzico di fortuna, che non guasta mai (ma, è risaputo, dobbiamo andare noi a cercarcela, non aspettare che sia essa a venire da noi, senza sforzarci di muovere nemmeno un dito).

Ora non farò tutta la storia del mio percorso traduttivo, che probabilmente non è nemmeno così interessante. Dico solo la linea che grosso modo ho seguito: ho puntato a tradurre i testi che più amavo leggere – articoli di giornali e riviste, reportage, saggi breve – e concentrato la mia attenzione su questo settore, ovvero sulle riviste che pubblicavano articoli in traduzione.

All’inizio ho forse avuto fortuna, essendo andato a segno già al primo tentativo, con la rivista che all’epoca (1991-92) mi piaceva di più: il trimestrale «Lettera internazionale». Ma ciò non significa che da un giorno all’altro mi sia ritrovato a tutti gli effetti pratici traduttore.

Per quattro anni ho avuto solo la piccola e saltuaria collaborazione con «Lettera», traducendo nel complesso non più di una mezza dozzina tra articoli e saggi brevi, mentre fondamentalmente facevo il contadino, con i miei.

Poi, nel 1996, al terzo tentativo in tre anni sono finalmente approdato al settimanale «Internazionale». E questo sì che mi ha cambiato la vita. Ho cominciato a tradurre con regolarità (non ai livelli di oggi, è chiaro, né tantomeno del 2000-2003) e, sulla scia di un ritrovato entusiasmo (non ho detto che venivo da una mancata laurea in fisica e da un periodo di “incontro con il vuoto”, se così si può chiamarlo), per conto mio mi sono messo a studiare prima francese e poi spagnolo. Quindi, dopo non molto, ho iniziato a fare le prime timide traduzioni da queste altre due lingue, sempre per «Internazionale».

Nel 1998 sono infine approdato al mondo delle mailing list su internet, scoprendo una realtà che nemmeno immaginavo esistesse a un così alto livello: le traduzioni tecniche. Ho così fatto qualche incursione in questo campo. E anche qui, all’inizio, ho avuto probabilmente una buona dose di fortuna, aggiudicandomi un grosso lavoro da un’agenzia inglese che in 3-4 mesi mi ha fatto guadagnare più di quanto avessi visto in tutti gli anni precedenti.

Ma il mio interesse prioritario continuava a essere rivolto verso l’editoria, soprattutto la saggistica (per la letteratura non mi sentivo ancora pronto): volevo misurarmi con la dimensione “libro”, provando a tradurre almeno un saggio.

Ma benché avessi ormai una buona preparazione pratica, sentivo che mi mancava una pur minima formazione teorica. Così stavo con le antenne dritte, alla ricerca di un buon corso alla mia portata.

E questo mi è venuto incontro sotto forma di un cartellone pubblicitario, nell’estate 1999: il corso «Tradurre la letteratura» dell’Istituto San Pellegrino di Misano Adriatico, di cui peraltro avevo già sentito parlare in una lista. Era fattibile (lezioni al venerdì pomeriggio e al sabato mattino; Misano non era eccessivamente lontana da casa) e il programma sembrava buono (si parlava, tra l’altro, di collaborazioni con diverse case editrici). Perciò, non c’ho pensato due volte, mi sono iscritto alla prova di selezione (sulla carta non avrei nemmeno potuto accedervi, non essendo né laureato né laureando, ma i meriti acquisiti sul campo sono, per così dire, serviti da lasciapassare), l’ho superata e, da novembre ad aprile, nei fine settimana ho fatto su e giù in treno o auto.

A quel punto ci ho messo molto di mio, molto di quanto già sapevo a livello pratico, lavorando sodo e seguendo una mia strada molto personale. In un periodo ero contemporaneamente impegnato su tre fronti, con tre prove distinte di mia scelta: inglese, con un racconto inedito di Raymond Carver da poco uscito su «Granta»; francese, con due capitoli di Poétique du traduire di Henri Meschonnic; spagnolo, con i capitoli iniziali del romanzo La traducción di Pablo De Santis (che in seguito avrei ritrovato pubblicato da Sellerio, segno dunque che in qualche modo avevo visto bene).

Alla fine i risultati ci sono stati. Non sono rientrato tra chi ha ottenuto la traduzione dei due romanzi concessi dalla Rizzoli (pur essendo nelle immediate posizioni di rincalzo), ma da solo mi sono costruito una collaborazione per la principale rivista italiana di traduttologia, «Testo a Fronte», dove ho piazzato i due capitoli di Meschonnic.

Quindi, finito il corso, e forse sulla scia del precedente attivismo privato, ho ricevuto – e naturalmente accettato – la proposta per collaborare alla traduzione di un romanzo per Fazi Editore. Malgrado le tante difficoltà incontrate (per motivi indipendenti da me, la cosa ha richiesto nel complesso diciotto mesi, tra partenza, messa in stand-by, ravvio dei lavori e rush finale), il risultato è che ho finito per tradurre il romanzo totalmente in prima persona e, in contemporanea, la casa editrice mi ha anche messo a tradurre dei saggi (all’epoca, quello che desideravo fare di più, o quantomeno per cui più mi sentivo tagliato). Poi, da lì, cosa tira cosa.

Quando da una parte cominci ad avere qualche buon libro all’attivo, e dall’altra continui ad accumulare articolo su articolo e autore su autore per riviste come «Internazionale» e «Lettera», la strada cessa di essere sempre in salita, a volta spiana e ci sono anche lievi tratti in discesa.

Insomma, forse cominci a essere appetibile come traduttore, non sei più sempre e soltanto tu a doverti proporre, ma a volte sono anche gli altri a cercare te (magari dietro consiglio informato di qualche amico, ovvio).

Ecco allora che al terzo tentativo in dieci anni riesci finalmente a strappare una collaborazione con «la Rivista dei Libri». Ed ecco anche libri o porzioni di libri per nuovi editori (Luca Sossella, Baldini Castoldi Dalai, Blu Edizioni, minimum fax, Fusi Orari, Alet), così come autori di un certo peso – Naomi Klein, Samantha Power, William T. Vollmann – e anche proposte che purtroppo sei costretto a rifiutare, per assoluta mancanza di tempo e/o energie.

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Questa, per sommi capi, la mia storia traduttiva fin qui. Cosa sarà ora è difficile dirlo. Chiaramente, non è possibile fare sempre le stesse cose o andare sempre a tutta. A un certo punto s’impone una riflessione su quello che si è fatto, su dove si sta andando o dove si vuole andare veramente. Forse c’è una maggiore presa di coscienza di sé, o magari si avverte il bisogno di nuove motivazioni e nuovi stimoli. In breve, ci può anche essere un parziale rimescolamento delle carte.

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Ma per tornare su un piano più generale, un’altra domanda a cui spesso mi sono trovato a rispondere è quella sull’utilità dei vari corsi che uno segue.

Nel mio caso, oltre all’esperienza di Misano, finora c’è stata la frequenza di due mini corsi su diritto d’autore ed editing presso l’editore romano minimum fax: un’esperienza di cui conservo un giudizio senz’altro positivo, aldilà del piccolo riscontro pratico che posso averne avuto (la collaborazione, negli anni a seguire, a un paio di antologie).

La loro utilità è stata soprattutto nel rendermi conto dal vivo del modo di lavorare di una piccola (ormai media) casa editrice, di come si decide di pubblicare un libro, come si arriva alla scelta di un autore… come puoi fare tu, traduttore, a farti prendere in considerazione da un editore: fondamentalmente, con una tua proposta mirata, in sintonia con la linea editoriale della casa editrice o della collana specifica per cui ti proponi, ovvero una buona traduzione di prova di una decina di pagine del libro, accompagnata da una altrettanto buona scheda di lettura.

Tutte cose che in parte già si sanno, specie se non sei l’ultimo arrivato o bazzichi per esempio dalle parti di Biblit. Per molti versi, quindi, questi corsi potrebbero non valere del tutto l’investimento – spesso non irrisorio – in termini di costi d’iscrizione, spese varie per viaggi, pernottamenti e mangiare, oltre che di lavori dovuti necessariamente rifiutare o accantonare.

È però vero che quanto ascolti dal vivo ha sempre una sua forza in più. Inoltre, non mancano mai le cose nuove da scoprire e quelle da approfondire. Infine, nel mondo delle traduzioni letterarie contano ancora molto, a differenza forse di quelle tecniche, i rapporti personali.

Quindi, farsi conoscere, farsi vedere – a fiere, presentazioni, corsi ecc. – ha il suo valore: non nell’immediato, magari, ma può tornare sempre utile.

Soprattutto, girando e spostandoti entri in un diverso meccanismo mentale, sei con le antenne più dritte, hai una maggiore dinamicità e reattività, ricevi molti più stimoli e input che stando fermo alla tua scrivania, davanti al tuo computer.

Resta il fatto che, se uno sente di avere le carte in regole per sfondare come traduttore, può riuscire benissimo a catturare l’attenzione di un editore anche senza passare per l’intermediazione di un corso. Ossia: proponendosi in prima persona, inviando insieme al curriculum la prova di traduzione di un capitolo di un libro e la relativa scheda di lettura (naturalmente, previa verifica che il volume non sia già stato tradotto e, magari, che i diritti di traduzione siano ancora disponibili).

Se fai le cose per bene, se la scelta del libro è stata intelligente e la traduzione di prova accurata, perché mai l’editore dovrebbe ignorarti completamente? Se poi hai l’accortezza di avvicinare l’editore o il responsabile editoriale dal vivo – in un’occasione propizia, tipo fiera del libro o presentazione – e di parlarci, di fargli vedere che ci sai fare, è ancora più facile ricevere quantomeno una risposta.

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Per concludere, credo che ogni traduttore e traduttrice costruisca – e debba costruire – una sua personalissima via delle traduzioni. Se questo è il percorso che si vuole seguire.